31/10/2018
un culto molto più antico di Halloween
Un ricordo della fanciullezza ricco di suggestioni, nostalgia e mistero. Is animeddas, la festa delle anime, trova voce e memoria nei racconti dei nostri anziani che, in questi giorni da bambini, il primo e il due di novembre, si preparavano ad accogliere il ritorno dei propri defunti, imbandendo le tavole per il banchetto notturno, pregando e accendendo i lumicini.
Per quanto oramai la più famosa – e commerciale – festa dedicata ai morti resti l'Halloween di origine celtica, in Sardegna la vera ricorrenza è quella de Is Animeddas.
In un'isola con una tradizione folkloristica e religiosa corposa come quella sarda, con una indiscutibile sensibilità per il mondo dei morti, è ovvio che questo e quello dei vivi siano continuamente sovrapponibili. Proprio questo – secondo le leggende – accadrebbe nella notte dedicata ai trapassati, quella fra il 31 ottobre e il 1 novembre: le porte del purgatorio andrebbero aprendosi, lasciando alle anime penitenti la libertà di circolare liberamente fra i vivi.
Halloween ha origini esoteriche mentre in Sardegna tutte le leggende si basano sulla religione.
Come nella più commerciale e nota festa di Halloween, anche nella celebrazione de Is Animeddas i bambini – vestiti di stracci – compiono quindi i loro pellegrinaggi lungo le vie del paese, domandando a ogni porta – secondo formule che cambiano da una zona all'altra dell'isola – un piccolo dono per le anime più sfortunate. Nel tempo, poi, da arance, mandorle, limoni e pane di saba si è passati ai dolci della grande distribuzione, ma si è sostanzialmente conservato il senso del dono e dell'offerta.
Tommaso Franceschini, settantacinque anni, figlio di maresciallo dei carabinieri e' nato a Dorgali ma ha trascorso la fanciullezza fra il la Gallura dove trascorreva le vacanze dai nonni ed il Nuorese, Oristanese, Sulcis ed infine Monserrato e Cagliari dove la famiglia si è stabilizzata. Appassionato di lingua e tradizioni popolari della Sardegna, oggi racconta che cosa accadeva per la festa dei morti quand'era bambino. Naturalmente con piccole varianti da provincia a provincia, infatti la festa de Is Animeddas – così come la maggior parte delle tradizionali celebrazioni sarde – conosce poi diverse denominazioni in ciascuna area dell'isola: si parla per esempio di Su Prugadoriu in Ogliastra – celebre la festa di Seui - e di Su Mortu Mortu, a Nùoro.
Tra ottobre e novembre le giornate iniziano ad accorciarsi. Nel calendario agricolo questo periodo, detto della semina, è caratterizzato dal fatto che sulla terra sembra regnare la morte mentre di sotto la vita è in fermento. Ebbene in questa stagione, nell'immaginario collettivo delle popolazioni pagane, si pensava che la soglia che separava il mondo dei vivi da quello dei morti tendesse gradualmente ad assottigliarsi fino a scomparire del tutto, lasciando così che la porta delle tenebre, nel giorno che fu detto dei morti, si aprisse per fare rientrare le anime sulla terra, alle loro case. Compito dei familiari era quello di onorarli e ingraziarseli, offrendo loro il cibo, da sempre simbolo di eternità e rigenerazione. Un rito pagano che col tempo fu sovrapposto da quello religioso e cristiano. “Il giorno dei morti era molto sentito tra noi bambini”, racconta Tommaso "Ma tutto aveva inizio il primo di novembre, giorno di Ognissanti. La sera si accendeva sa lantia, un lumicino fatto con uno stoppino di tessuto imbevuto nell'olio che, ben incastrato in un piccolo pezzo di sughero, si lasciava galleggiare dentro una scodella d'acqua. Ogni anima defunta aveva dunque il suo lumino, che restava acceso fino alla mezzanotte del giorno dopo. Nelle prime ore del mattino del giorno di Ognissanti, dalle cinque alle undici per la precisione, venivano celebrate le funzioni religiose. L'atmosfera iniziava a incupirsi con il rintocco delle campane a morto che il sacrestano suonava nel primo pomeriggio. Quel suono grave e lento non dava tregua fino alla mezzanotte del giorno dei morti, dando ai paesi quell'aura di tristezza e malinconia che s ‘intensificava col sopraggiungere della sera. Non per i bambini tuttavia, perché da quel preciso momento potevano chiedere il permesso ai genitori per “Andare a is animas”, si diceva così: andavamo a bussare ai portoni di conoscenti e amici per chiedere un piccolo dono che, secondo le credenze del tempo, avrebbe alleggerito dalle pene l'anima dei defunti. Recuperata una vecchia federa, oppure il sacco di tela vuota della farina dove riporre i regali, per noi bambini aveva inizio l'avventura".
Nel pomeriggio del primo novembre iniziava dunque is animeddas che aveva le sue regole di bon ton. Non bisognava suonare i campanelli o bussare ai portoni più di una volta, anche se, non era necessario insistere sul battacchio, poiché in genere le signore attendevano l'arrivo dei fanciulli accostate alla porta d'ingresso con sa corbula in mano, un cestino colmo di ogni ben di Dio. “Era un momento bello ed emozionante”. I bambini venivano accolti con affetto e tendevano la mano dicendo "seus begnus po is animas". Un abbraccio caloroso e poi veniva consegnato loro il dono, che era sempre accompagnato dalla frase di rito:”po s'anima de figgia mia, oppure de mamai, o de babai…o in modo più generico, po is animas e a si biri a attrus annus.”, (per l'anima di mia figlia, oppure di mia madre, mio padre …o, per le anime e arrivederci al prossimo anno). Il sacco di tela pian piano si riempiva di castagne, noci, fichi secchi e anche di dolci fatti in casa.
All'imbrunire si ritornava a casa. Il cibo da loro ricevuto e dai fratelli, veniva poi deposto sul tavolo della cucina. La mamma si rassicurava che i bambini avessero ben capito il significato di quel rito, difatti prima di mangiare il cibo ricevuto, si facevano le preghiere, seduti intorno al tavolo, per le anime dei morti che gli erano state raccomandate.
Nel giorno di Ognissanti, ogni famiglia, dopo la cena. imbandiva la tavola per il banchetto dei morti che, allo scoccare della mezzanotte, secondo la credenza popolare, sarebbero tornati nelle loro case: pasta o minestra, formaggio, pane o pistoccu, insalata, acqua, vino e caffè, venivano lasciati in bella vista sul tavolo della cucina. “La mamma ritirava tutto la mattina successiva prima che mi alzassi, e quando chiedevo se avessero mangiato, rispondeva:”Hanno mangiato tutto, vuol dire che hanno gradito””.
La mattina del giorno dei morti si andava in camposanto ad ascoltare la messa.
Era insomma una grande festa religiosa per i defunti, usanza che oggi è ancora molto sentita nei Paesi dell'America Latina.